CronacaNorme e tributi

VIOLENZA DI GENERE, E’  ANCHE UN FATTO CULTURALE

Andare controvento, contro i pregiudizi culturali, gli schemi manipolatori, la “banalità del male” che scivola dentro “gabbie mentali” ben circoscritte: cose da “femmine” e cose da “maschi”, «Non fare la femminuccia», «È l’uomo che deve mantenere la famiglia». Ci siamo forse abituati a contare le vittime, a osservare soltanto la punta dell’Iceberg, a confondere il possesso con l’amore, la manipolazione psicologica con l’interesse per l’altro. Dal 2000 a oggi sono più di tremila le donne uccise in Italia.  Resta un dato inaccettabile. Forse non crediamo abbastanza all’idea che alcuni schemi comportamentali ed educativi di matrice patriarcale agiscano con effetto domino, ancora oggi, nelle dinamiche relazionali di coppia e familiari.  Basti pensare al caso della maestra d’asilo di Torino, al video hard diffuso dall’ex, alla doppia umiliazione – intima e sociale – cui è stata sottoposta, per capire che sono ancora tanti i passi che dobbiamo fare. Anche se tanto è stato già fatto, anche se molto è stato conquistato. Ma non basta.

La violenza è in primo luogo un problema di matrice culturale.

I “gap” che riguardano l’universo femminile sono molteplici: parliamo di gender gap e pensiamo ai divari salarialiriflettiamo sui diversi livelli di ingresso nel mondo del lavoro e ci scontriamo con la disparità di crescita professionale e con le più immediate opportunità lavorative, affrontiamo l’aspetto della rappresentanza femminile nelle “stanze dei bottoni” e ci scontriamo con l’esiguità dei risultati. Quindi: “gap culturale”, dove gli stereotipi e non solo di genere, sono una costante presenza e un costante freno alla realizzazione, sia di un’equa parità di genere, che il punto di partenza “culturale” dei soprusi in ambito professionale e di violenza in ambito personale. Stupri, violenze, femminicidi sono all’ordine del giorno e in aumento esponenziale. Bersaglio esplicito e implicito: la donna. Questo a riprova che le leggi che si sono susseguite negli anni hanno avuto scarso impatto sull’arresto del fenomeno, sempre più dilagante, della violenza di genere, poiché la legge punisce la condotta ma non estrapola la mentalità sessista dalla società.

Si parla sempre di uomo e di donna si parla di tolleranza verso uno schiaffo, oppure frasi del tipo:” non so devo chiedere a mio marito o al mio fidanzato se posso venire a prendermi l’aperitivo con te (amica)”o altro. La donna ha sempre bisogno dell’assenso per uscire, per lavorare, ad esempio a volte si sente dire:” mia moglie può lavorare ma deve fare lavori che la impegnano poco perché poi deve badare alla casa”, addirittura anche per comprare un capo di abbigliamo piuttosto che un altro, “ mia moglie non può indossare la minigonna o una maglietta scollata, oppure alcuni capi possono essere indossati solo se in mia compagnia….” Oppure sentire una donna affermare: “ va beh il marito le ha dato uno schiaffo ma lei se l’è meritato perché ha fatto una cosa che non doveva”. Ed ecco qui la radice della violenza di genere, chi ragiona in questo modo è anche colui che difronte a notizie, ormai quotidiane di femminicidi sempre più efferati, restano sconvolti ma in fondo sono alimentati da tutti noi quando avvaloriamo certi pensieri. Bisogna cambiare il modo di pensare, non servono solo leggi ma una vera rivoluzione culturale affinché la notizie sulla morte di donne per mano di mariti, ex compagni o ex fidanzati non siano più così frequenti.

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