Nuovo attacco da Bruxelles alle produzioni made in Italy, a farne le spese soprattutto il Sud col grano ed il Nord con il mais.
L’Europa impone ancora sbarramenti alle produzioni italiane, perché? Quali sono le motivazioni che spingono a tale decisione Bruxelles? Si tratta della nuova PAC, la politica agricola comune, che mette in discussione alcune tra le principali coltivazioni fatte sul suolo italiano. L’UE d ce STOP alle cosiddette monocolture di grano duro e mais perché, secondo i vertici europei, la produzione continua dello stesso alimento sullo stesso terreno minaccia la biodiversità e rischierebbe di impoverire il terreno.
Cosa fare, c’é soluzione, quale?
Ci sarebbe e se ne parla da sempre: diversificare la produzione. Si tratterebbe di stoppare per un anno per poi tornare alla coltivazione originaria l’anno successivo e così via. Come dire da uno primo sgardo può esser positivo, ma… in mezzo ai principi ecologici ci sono migliaia di imprese agricole costrette a stravolgere le loro attività per venire incontro ai desideri di qualche burocrate europeo, ma soprattutto per poter beneficiare degli incentivi comunitari.
Due zone italiane a fare le spese
Una delle due aree che sarà vittima di questa politica europea è il Tavoliere delle Puglie, dove la coltura del grano duro è preponderante.
L’altra per la coltivazione di mais c’è infatti la pianura padana e non è un caso che la maggior parte delle regioni del nord rappresentino un traino di tutto il Paese per questa produzione. In Piemonte sono state per esempio prodotte 1,2 milioni di tonnellate nel 2022, che corrispondono al 26,6% del totale nazionale; in Lombardia ne erano stati prodotti 1,17 milioni, pari al 24,9%; in Veneto 1,04 milioni, pari al 22,1%. Insomma oltre il 70% del mais italiano arriva da queste regioni. Dal 2024 tutta questa mole di mais dovrebbe quindi essere improvvisamente azzerata. Una prospettiva che sta allarmando e non poco il settore agroalimentare.
Riflessione
Se da una parte incombono diverse ombre su frumento e mais italiani, tra le quali gli effetti del cambiamento climatico e andamenti di mercato decisamente fiacchi uniti alle difficoltà nella reale valorizzazione del prodotto, dall’altra esistono anche delle opportunità, delle speranze, che la filiera deve essere in grado di cogliere: la sostanziale buona tenuta dei numeri dell’export del Made in Italy agroalimentare (formaggi e salumi, che necessitano un certo quantitativo di mais di origine locale per le dop) e le NBT (new breeding tecnologies) che offriranno agli agricoltori informatoreagrario.it varietà capaci di sfruttare meglio le sostanze nutritive del terreno, di resistere alla siccità e alle malattie più diffuse per ridurre l’uso di agro farmaci e quindi l’impatto sull’ambiente.
Da un’annata all’altra la suscettibilità delle varietà unita agli andamenti meteorologici può determinare, oltre a forti variazioni produttive e qualitative, problematiche sanitarie, con ovvie ripercussioni per la redditività delle colture e offrire al produttore. Servono informazioni tecniche affidabili ovvero
una strategia fondamentale per ridurre i rischi fitosanitari. Possiamo concludere col dire che: non possiamo perdere altro tempo, è venuto il momento di innovare ricorrendo a nuove tecnologie di cui siamo dotati.